Professione

Studi dei commercialisti, investimenti al minimo sulla digitalizzazione

Secondo l’indagine dell’Università di Pavia due professionisti su tre riescono a investire solo fino a 5mila euro nelle nuove tecnologie: al primo posto le email, all’ultimo l’intelligenza artificiale

di Valeria Uva

Gli investimenti dei professionisti nel digitale sono ancora bassi: due commercialisti su tre non riescono a dedicare più di 5mila euro alla digitalizzazione dello studio. Uno su due ha potuto organizzare soltanto una giornata di formazione sul digitale all’anno nel proprio studio. E, più che all’intelligenza artificiale, i professionisti guardano a cloud e videoconferenze.

L’indagine sugli «Studi professionali italiani e digitali» è stata realizzata dall’Institute for Transformative Innovation Research, il centro di ricerca dell’Università di Pavia, in collaborazione con l’Accademia dei commercialisti e la Fondazione nazionale dei commercialisti. Ed è stata presentata nel convegno promosso da Assosoftware a Milano il 23 aprile dal titolo: «Digitalizzazione e futuro degli studi commercialisti».

L’indagine

La ricerca copre il trienno 2020-22 ed è stata realizzata intervistando un campione composto da 1.559 professionisti provenienti da tutto il territorio nazionale, di cui oltre l’80% costituito da commercialisti. A essere intervistati soprattutto i titolari dello studio, uno su due di età superiore ai 55 anni. L’obiettivo era proprio quello di indagare il livello di digitalizzazione degli studi e capire di quali strumenti si siano dotati nel triennio considerato. In modo da avere indicazioni, sulle possibilità e le propensioni a investire nelle nuove tecnologie.

I risultati

Due intervistati su tre non sono riusciti a investire nello sviluppo di soluzioni tecnologiche più di 5mila euro l’anno. In particolare il 18,35% è rimasto sotto la soglia dei mille euro, mentre circa il 47% si è collocato nella fascia da mille a 5mila euro. Carente anche il tempo dedicato alla formazione dei dipendenti sul tema: uno su due (il 52%) ha dedicato da zero a un solo giorno di formazione, mentre all’estremo opposto, poco più di uno su dieci è riuscito a impostare oltre sette giorni di formazione sulle tecnologie. Per Stefano Denicolai, professore di Innovation Management all’Università di Pavia «Le difficoltà che gli studi commercialisti affrontano nel loro cammino di digitalizzazione sono molteplici, tra queste il fatto che si tratta di una professione svolta da un gruppo ristretto di persone che hanno poche occasioni per investire in modo poderato sul digitale a parte gli adempimenti normativi. Questo crea un circolo vizioso, avendo poche competenze digitali si fa fatica a capirne il valore, come investire e in quale direzione». Per il docente è anche una qujestione di contesto: «Questi studi lavorano in simbiosi con Pmi che non hanno cultura del digitale e non vogliono investire nel settore ,ma basta poco per sbloccare la situazione: qualche piccolo investimento nella direzione giusta non può che portare grandi vantaggi agli studi».

Le tecnologie

Le criticità maggiori sono proprio sulla tipologia di strumenti tecnologici adottati negli studi, che sembrano non riuscire a progredire verso forme particolarmente complesse e ad alto valore aggiunto. In una scala da uno a cinque, a livello di importanza, relativa al livello di adozione medio è l’email lo strumento più diffuso (4,82), seguita dai sistemi di back up e dalle piattaforme per le riunioni digitali. Tecnologie più evolute, come le piattaforme di collaborazione o il timesheet sono ancora agli ultimi posti. Per non parlare dell’intelligenza artificiale, ferma all’ultimo gradino della scala di interesse con il punteggio minimo pari a uno.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©